Approfondimenti su Chiusi
La Storia
Secondo lo storico latino Servio, Chiusi sarebbe stata una delle più antiche città etrusche, fondata dall’eroe Cluso, figlio di Tirreno, il re Lidio che guidò la migrazione all’origine della nazione etrusca secondo Erodoto, o di Telemaco, figlio di Ulisse. Con ogni probabilità la sua è una ricostruzione erudita tarda basata sul nome latino della città, Clusium, corrispondente a quello etrusco Clevsins, tramandatoci da iscrizioni dell’inizio del IV sec. a.C., mentre il nome Chamars, riferitoci da Livio, non ha riscontri epigrafici.
La notizia della precoce fondazione di Chiusi è stata confermata da scavi recenti, che hanno messo in luce nel sito della città antica e nelle sue immediate vicinanze alcuni insediamenti dell’Età del Bronzo finale (XII-X sec. a.C.). A questo periodo risale l’abbandono delle stazioni preistoriche e protostoriche sul monte Cetona, sede dei più antichi abitati della zona.
Gli scavi urbani attestano la continuità tra gli insediamenti dell’Età del Bronzo Finale e della successiva Età del Ferro, mentre quelli nelle necropoli la confermano per il successivo periodo orientalizzante (VII sec. a.C.). In questo periodo non è ancora iniziato il processo di urbanizzazione di Chiusi: l’ampia diffusione delle necropoli attesta l’esistenza di villaggi sparsi, dediti per lo più ad una economia agricola di sussistenza.
Fino alla metà del VII secolo l’uniformità delle sepolture di tipo individuale sembra attestare, infatti, la presenza di una società senza classi differenziate, a carattere pluri familiare, in cui la produzione di oggetti di uso quotidiano era ancora un’attività essenzialmente domestica.
Solo nel periodo Orientalizzante recente si nota nei corredi chiusini delle prime tombe a camera un accumulo di ricchezze tale da far supporre che il controllo del territorio fosse passato nelle mani di un numero limitato di famiglie di rango principesco.
Chiusi comunque divenne una delle principali città della dodecapoli etrusca nell’avanzato VI sec. a.C., periodo cui risalgono i primi contatti con Roma:
Dionigi di Alicarnasso afferma che Chiusi avrebbe aiutato i Latini contro Tarquinio Prisco. Alla fine del secolo (507-6 a.C.) risale l’impresa del lucumone chiusino Porsenna, che assediò Roma e con ogni probabilità la conquistò; durante questo assedio si collocano gli episodi di eroismo di alcuni dei più famosi personaggi dell’epopea romana: Muzio Scevola, Orazio Coclite e Clelia.
Quella di Porsenna è una figura storica che ben si inserisce nell’accentuarsi dei fenomeni tirannici in Etruria nel corso del VI secolo; la notizia secondo cui avrebbe liberato la città di Volsinii (Orvieto) dal mostro Olta con l’evocazione di un fulmine, potrebbe suggerire il un suo ruolo egemone nella lega dei Dodici popoli etruschi che, proprio a Volsinii, aveva il suo centro politico e religioso. Secondo alcune fonti latine, infatti, Porsenna sarebbe stato re di tutta l’Etruria e avrebbe estenuato le risorse del regno per la costruzione del suo magnifico sepolcro.
In età arcaica l’accentramento delle necropoli intorno a Chiusi, la diffusione delle grandi tombe a camera gentilizie, la quantità e la qualità delle importazioni e la ricchezza della produzione artigianale locale, testimoniano da un lato un mutamento delle strutture socio economiche e dall’altro l’avvenuta urbanizzazione della città. Questa ebbe comunque una estensione piuttosto limitata e fu integrata da sobborghi. Purtroppo a partire dal periodo Orientalizzante la continuità di vita nella città di Chiusi è testimoniata quasi esclusivamente dalle necropoli, poiché nel centro urbano non sono state rinvenute documentazioni anteriori al III secolo a.C.
La ricchezza di Chiusi era legata soprattutto alla fertilità del suolo di natura alluvionale. Vi si producevano olivo, vite, fichi ed una specie non pregiata di grano, menzionata da Livio, Marziale e Columella, che, a detta di Varrone, aveva un rendimento eccezionale. Secondo Strabone, inoltre, il territorio intorno a Chiusi era noto per la ricchezza dei prodotti della caccia e della pesca. La città era situata in posizione strategica lungo una importantissima arteria commerciale: risalendo il Tevere attraverso la Chiana, che a quell’epoca era navigabile e sfociava nel Tevere, ci si immetteva nel Valdarno. Chiusi inoltre era collegata tramite le valli dell’Astrone, dell’Orcia e dell’Ombrone con i centri della costa, in particolare Roselle, che alcuni studiosi considerano il suo sbocco al mare.
L’attività di prelievo lungo queste strade e lo sviluppo dell’agricoltura garantirono a Chiusi una prosperità ininterrotta, anche quando, a seguito della sconfitta nella battaglia navale di Cuma nel 474, i centri dell’ Etruria meridionaìe costiera entrarono in crisi.
Per impedire che fossero interrotti i collegamenti con I’Etruria campana, Arunte, figlio di Porsenna, ritentò l’impresa del padre ma fu sconfitto dagli abitanti di Ariccia aiutati dai Latini e dai Greci della Campania. Dopo il fallimento dell’impresa romana, gli Etruschi diressero nuovamente le loro mire espansionistiche verso l’Emilia alla cui colonizzazione Chiusi aveva dato un importante contributo anche in passato.
Più di un secolo dopo, come narrano Livio e Dionigi di Alicarnasso, un altro Arunte, precettore di Lucumone, re di Chiusi, tradito dal pupillo con la propria moglie, avrebbe attirato i Galli nella zona, con la promessa di una terra fertile, ma poco coltivata e scarsamente abitata da popolazioni imbelli. Secondo altre fonti la prima calata celtica su Roma ad opera di Brenno (390 a.C.) sarebbe stata causata dallo scorretto comportamento di un’ambasceria romana inviata nella città occupata dai Galli: la delegazione, cui sembra che partecipassero membri della gensFabia, invece di comporre il dissidio, fu coinvolta negli scontri.
Se nel IV secolo Chiusi sembra intrattenere buoni rapporti con Roma, questi si guastarono all’inizio del successivo. Durante la prima guerra etrusco-romana Chiusi è in prima linea: nel 296 a.C. i Romani subirono perdite davanti alla città ad opera dei Galli Senoni e degli Umbri alleati degli Etruschi, vero e proprio preludio della battaglia di Sentino. In seguito, anche se le fonti latine non vi fanno esplicito riferimento, Chiusi subì probabilmente, alla stregua di altri centri etruschi, un trattato iniquo foedere con i Romani, ma l’assorbimento della città nell’egemonia romana fu quasi indolore.
Nel 205 a.C.. durante la guerra annibalica Chiusi rifornì l’esercito di Scipione con grano e legname: secondo alcuni studiosi alcune monete rinvenute in Valdichiana con un elefante e una testa di negro attesterebbero leve da parte di famiglie chiusine e perugine.
Durante il II secolo Chiusi fu profondamente coinvolta nella questione sociale che sconvolse tutta I’Etruria centro-settentrionale, partecipando in notevole misura al fenomeno della liberazione dei servi, come dimostrerebbero le numerose iscrizioni di lautni, cioè liberti, rinvenute nel territorio. La distribuzione capillare delle necropoli attesta una occupazione intensiva delle campagne con fattorie a gestione familiare o servile dipendenti da famiglie di rango, residenti per lo più nel centro urbano.
Un fenomeno caratteristico di Chiusi in età ellenistica è l’ampia diffusione dell’alfabetizzazione anche negli strati sociali meno abbienti: si conoscono almeno tremila iscrizioni provenienti dalla città e dal suo agro, il numero più alto in tutta l’Etruria. Quelle bilingui prima e poi quelle solo in latino ci permettono di seguire il fenomeno della romanizzazione della città nel corso del I sec. a.C.. Senza averla richiesta, Chiusi ottenne la cittadinanza romana per effetto della lex Iulia, successivamente ampliata con la Plautia Papiria nell’89 a.C.
Le guerre civili tra Mario e Silla devastarono un territorio che risentiva limitatamente della crisi generale dell’ Etruria. Anche se sembra che Chiusi si sia mantenuta neutrale nel conflitto, nei suoi dintorni si svolsero gli scontri violenti contro il mariano Carbone.
Nell’elenco delle città etrusche redatto da Plinio accanto ai Clusini veteressono citati i Clusini novi: mentre alcuni studiosi ritengono che si tratti di una distinzione a carattere puramente amministrativo, altri hanno ipotizzato l’esistenza di due centri diversi (in analogia col caso di Volsinii novi= Bolsena, costruita dopo la distruzione di Volsinii veteres= Orvieto), come confermerebbe il rinvenimento di una fortezza di epoca sillana sulla collina della Rocca Paolozzi.
Il municipio di Chiusi, che faceva parte della tribù Arnense, continuò a prosperare in epoca imperiale, avendo mantenuto la posizione strategica sul fiume Clanis, che consentiva ancora un buon collegamento fluviale tra l’Etruria e Roma, ma, soprattutto, per essere ora un importantissimo punto di transito sulla via consolare Cassia che, proprio nei pressi di Chiusi si diramava per Arezzo e per Siena.
Ben poco si conosce della struttura della città in questo periodo, poiché neppure i rinvenimenti più recenti, per quanto significativi, sono sufficienti a ricostruire la fisionomia urbana: il cardo massimo doveva corrispendere all’asse costituito da via Lavinia, via Baldetti e un tratto di via Porsenna, mentre risulta più diffìcile identificare il percorso del decumano massimo, che doveva collegare via Porsenna con via Nardi Dei, mentre il foro doveva essere situato nell’attuale piazza XX settembre. Sia le domus, delle quali porzioni di mosaico sono venute alla luce nella città, sia i monumenti di età imperiale, smentiscono l’ipotesi di una crisi a seguito di un precoce impaludamento della Chiana, desunto da una notizia di Tacito. Solo dopo il VII secolo, come confermerebbero alcuni scavi recenti, la città decadde rapidamente a causa dell’impaludamento della Chiana e del conseguente abbandono delle campagne divenute malsane.
Dopo essere stata occupata dai Goti nel 540 d. C., quando Vitige nella sua ritirata davanti ai Bizantini vi lasciò un presidio di mille uomini, Chiusi divenne sede di un ducato longobardo, documentato fino al 776, quando nella zona è attestata la presenza di Reginaldo, legato a Carlo Magno. Malgrado però sia sicura la presenza franca nel chiusino è solo nel 903 che Chiusi riceve il suo primo conte vassallo del marchese di Toscana.
Dall’XI secolo il potere della città è saldamente nelle mani del suo vescovo, ma già nel secolo successivo deve sottostare alle influenze prima orvietane e poi senesi. In questo periodo si ha il consolidamento del Comune di Chiusi e il suo inglobamento nello Stato di Siena del quale, salvo sporadiche parentesi, seguì la sorte.
(Tratto da: Chiusi. Guida turistica, edita dall’Associazione Pro-Loco di Chiusi, 1997, pp. 7-14)
Museo Nazionale Etrusco
Il Museo Archeologico Nazionale di Chiusi nacque come Museo Civico nel 1871; dal 1963 è statale.
La sede attuale, in stile neoclassico, fu inaugurata nel 1901 e successivamente ampliata. L’edificio accanto, tipico esempio di architettura razionalista del Ventennio, realizzato nel 1938 come Casa Littoria, ospita il Laboratorio di Restauro e la Sala per le Mostre temporanee.
All’allestimento di primo Novecento collaborò Bartolomeo Nogara, agli inizi della prestigiosa carriera di studioso che l’avrebbe visto ai vertici del Musei Vaticani per oltre un cinquantennio; a Doro Levi, altra figura di spicco dell’archeologia italiana e internazionale, si deve invece, nel 1935, la prima guida scientifica del museo.
Guglielmo Maetzche seguì le fasi della ricostruzione e dei restauri dopo gli eventi bellici del giugno 1944, che avevano causato danni gravissimi alla struttura e alle collezioni.
Risale agli ultimi decenni l’ammodernamento della veste espositiva e il restauro completo dei materiali esposti, con importanti interventi nel 1985 e nel 1992, direttrice Anna Rastrelli, e poi ancora nel 2003, curatori scientifici Mario Iozzo e Francesca Galli.
La didattica si avvale di un ricco supporto di pannelli e didascalie in italiano e inglese; nella sala video è inoltre possibile la visione virtuale delle tombe dipinte chiuse al pubblico per esigenze di conservazione. Di recente, nel 2009, il museo si è arricchito di uno spazio dedicato alla consultazione dei libri della sua biblioteca.
Il portico, affollato deposito di sculture, capitelli, urne ed epigrafi, rispecchia ancora l’originaria sistemazione di primo Novecento. Le cinque statue togate, ricollocate all’interno di nicchie, appartenevano a un’edicola funebre di età romana, ritrovata lungo l’antico percorso della Via Cassia.
All’interno l’ordinamento dei reperti tiene conto di criteri cronologici e tematici, cercando ove possibile la ricomposizione dei contesti di provenienza, e, allo stato delle ricerche, offre un quadro ampio e esauriente della civiltà di Chiusi e del suo territorio dalla fine del II millennio a.C. all’alto medioevo.
Sezioni specifiche sono riservate alle espressioni culturali e artistiche tipiche del territorio di Chiusi ed alle importazioni più significative e prestigiose, messe a confronto con le produzioni locali che da esse trassero ispirazione.
Nella prima sala sono esposti reperti, soprattutto ceramici, ma anche metallici, in osso e pietra, risalenti alle età più antiche, del Bronzo Recente e Finale, del Ferro, dell’Orientalizzante, restituiti ora da scavi recenti di abitato e ricognizioni di superficie, ora da vecchi ritrovamenti di sepolcreti a incinerazione. Così, accanto a oggetti di uso domestico e produttivo ne troviamo altri a destinazione funeraria, in genere più curati esteticamente e maggiormente integri per le diverse condizioni di recupero e conservazione.
Caratteristici sono gli ossuari biconici dell’Età del Ferro e di particolare rilievo il coperchio di uno di essi, sormontato da due figurine ritratte nell’atto di abbracciarsi. Risalgono all’Orientalizzante i vasi di bucchero con decorazione impressa ‘a cilindretto’ dove già si evidenzia la tipicità della produzione chiusina messa a confronto con i materiali d’importazione.
Importantissima per pregio e suggestione è la collezione di ‘canopi’, i vasi cinerari di età Orientalizzante dal coperchio conformato a testa umana, qui presenti con numerosi esemplari deposti su trono. In genere il trono, simbolo dell’elevata posizione sociale del defunto, è in terracotta, ma nel caso del notissimo ‘canopo di Dolciano’ è di bronzo laminato e sbalzato, decorato con animali fantastici.
Le importazioni di vasellame greco dipinto, che fecero giungere a Chiusi sin dai primi decenni del VI secolo a.C. capolavori assoluti, primo fra tutti il grande cratere François, vanto del Museo Archeologico di Firenze, sono rappresentate in particolare da raffinata ceramica attica, da quella più antica, ‘a figure nere’, a quella ‘a figure rosse’, fra cui spicca lo skyphos ‘di Penelope’ (datato attorno al 440 a.C.), con la nota rappresentazione della sposa di Ulisse davanti al telaio.
Nella stessa sala, a confronto, trovano spazio i prodotti delle officine ceramiche locali, sia d’imitazione, a ‘figure nere’ e a ‘figure rosse’, sia in bucchero ‘pesante’.
In particolare, vasto e selezionato è il campionario dei buccheri ‘pesanti’, tipici delle manifatture chiusine del VI secolo a.C., così detti per la decorazione sovrabbondante e fantasiosa ispirata ad esemplari metallici.
Spazi appositi sono poi riservati ai contesti di necropoli e di abitato, con testimonianze che vanno dal VII al II secolo a.C. e abbracciano l’intero territorio dell’antica città etrusca.
Per la prima volta vi è stato ricomposto il corredo della tomba principesca della Pania (fine VII – inizi VI sec. a.C.) con la grande situla in bronzo che contiene il cinerario e il calco della famosa pisside in avorio con scene mitologiche intagliate su più registri (l’originale è esposto nel Museo Archeologico di Firenze). Viene inoltre ripresentato, dopo un recente restauro, il cinerario Paolozzi con figure femminili di piangenti e teste di grifo.
Capolavori di raffinatezza e verismo sono l’urna di Larth Sentinates Caesa, dalla tomba della Pellegrina, e i due sarcofagi femminili, uno di alabastro e l’altro fittile, da S. Mustiola e dalle Tassinaie. Quest’ultimo è inserito all’interno della ricostruzione delle tomba della famiglia Tiu da cui proviene, databile fra il 170 e il 150 a.C..
La ricostruzione si avvale delle riproduzioni della decorazione pittorica della camera sepolcrale eseguite agli inizi del secolo XX dal pittore Guido Gatti per la Galleria della Pittura Etrusca del Museo Archeologico di Firenze, da cui provengono anche le altre riproduzioni di pitture di tombe arcaiche chiusine appese alle pareti ad accompagnare due frammenti originali con scene di banchetto già nella tomba del Colle (470 a.C. ca).
Il piano seminterrato è dedicato invece alla Chiusi di età ellenistica e romana, con una finestra aperta sul periodo altomedievale, quando Chiusi fu sede di un importante ducato longobardo.
L’età ellenistica è rappresentata in primo luogo dalla ricca collezione di urne cinerarie, scolpite in marmo, alabastro, travertino, o realizzate in serie in terracotta, a stampo, con ritocchi a stecca negli esemplari di maggior qualità. Le urne fittili mantengono ancora una vivace, caratteristica policromia.
Splendide, per quanto frammentarie, sono le terrecotte architettoniche e votive.
Una curiosità: fra le altre produzioni locali di quest’epoca sono esposti anche alcuni ‘salvadanai’ dalla tipica forma panciuta, con iscrizione etrusca graffita, recuperati nello scavo delle fornaci dove venivano fabbricati.
Di età romana, oltre alle ceramiche di ‘sigillata aretina’, ai vetri, ai piccoli oggetti di bronzo, troviamo un ritratto marmoreo di Augusto giovane, in veste di pontefice massimo, considerato una delle migliori effigi esistenti dell’imperatore, e poi, sempre in marmo, altri ritratti di età imperiale, una grande statua femminile acefala proveniente dal probabile foro della città, due cippi funerari e una base onoraria.
La mitica caccia al cinghiale calidonio contraddistingue sia la fronte scolpita di un sarcofago sia il raffinato emblema musivo policromo estratto da un pavimento di una lussuosa villa suburbana, di recente attribuito a fabbrica alessandrina e datato fra l’80 e il 60 a.C..
Tomba della Pellegrina
La tomba, cosiddetta dall’omonima casa colonica che sorge a breve distanza, rappresenta un esempio significativo di tomba familiare di età ellenistica. Scoperta nel 1928, è costituita da un lungo dromos sul quale si aprono quattro piccoli loculi e tre camere di dimensioni differenti. Le sepolture più antiche (IV sec. a.C.) sono da riconoscere in due grandi sarcofagi con fronte intonacata, conservati nella piccola cella sul lato destro del dromos, mentre le altre deposizioni del III sec. a.C. furono accolte nella grande camera di fondo entro tre sarcofagi lisci recanti sulla fronte iscrizioni funerarie dipinte in rosso.
La tomba, cosiddetta dall’omonima casa colonica che sorge a breve distanza, rappresenta un esempio significativo di tomba familiare di età ellenistica. Scoperta nel 1928, è costituita da un lungo dromos sul quale si aprono quattro piccoli loculi e tre camere di dimensioni differenti. Le sepolture più antiche (IV sec. a.C.) sono da riconoscere in due grandi sarcofagi con fronte intonacata, conservati nella piccola cella sul lato destro del dromos, mentre le altre deposizioni del III sec. a.C. furono accolte nella grande camera di fondo entro tre sarcofagi lisci recanti sulla fronte iscrizioni funerarie dipinte in rosso.
Sulla banchina di sinistra sono allineati tre ossuari: il primo appartenente ad aul:seiant:larthal presenta sulla fronte una scena di combattimento tra Greci e Galli e sul coperchio la figura del defunto. Accanto è un’urna con analoga scena. Il terzo ossuario, privo del coperchio, è ornato sulla fronte da due scudi rotondi tra festoni. Sulla banchina di destra si trova una piccola cassa con la rappresentazione di Achille e Aiace. Nella cella di sinistra si conserva un’urna cineraria con bel rilievo sulla cassa, raffigurante il saccheggio dei Galli nel santuario di Delfi.
Il primo loculo di sinistra contiene un ossuario con figura femminile sul coperchio e sulla cassa la rappresentazione di Achille e Aiace; nel secondo un’urna con la narrazione, in rilievo, della morte di Ippolito assalito da un toro. Nel loculo sulla destra del dromos, è conservata un’urna di travertino sulla cui cassa si vede un fiore tra pelte con cospicui resti di policromia. Si tratta dell’ultima deposizione accolta nella tomba e databile verso la metà del II sec. a.C.
(Tratto da: Chiusi. Guida turistica, edita dall’Associazione Pro-Loco di Chiusi, 1997, pp. 38-45)
Tomba della Scimmia
È la tomba più nota delle necropoli di Chiusi. Scoperta nel 1846 da A. François, la tomba è costituita da un vestibolo e tre camere con bei soffitti e letti funebri; le scene figurate sono dipinte solo nel vestibolo e nella camera di fondo. Nel fregio sono rappresentati i giochi in onore del defunto: corsa delle bighe, suonatori e personaggi con rami di palma in mano, lottatori alla presenza di un arbitro, una piccola scimmia legata ad un albero (da cui deriva il nome della tomba), un lanciatore di giavellotto seguito da uno schiavo, due pugili e un pirrichista con doppio flauto. Meno conservata risulta la scena della parete d’ingresso sulla quale è raffigurata una donna seduta sotto un parasole che assiste ad un gioco di abilità cui partecipa una fanciulla con in testa un candelabro. Nella camera di fondo sono dipinte due piccole figure maschili. Datazione: Inizio del V sec. a.C. Tratto da: Chiusi. Guida turistica, edita dall’Associazione Pro-Loco di Chiusi, 1997, pp. 38-45)
Il Museo della Cattedrale
Il Museo della Cattedrale fu istituito nel 1932 dal Vescovo di Chiusi Mons. Giuseppe Conti e collocato in una delle sale capitolari. Agli inizi degli anni ’80 fu data una nuova dimensione al museo, grazie all’intervento della Banca di Credito Cooperativo di Chiusi che si fece artefice del recupero architettonico e strutturale degli ambienti attigui alla Cattedrale.
Il nuovo museo fu inaugurato nel 1984. L’esposizione è suddivisa in quattro sezioni:
I – Epigrafico-Scultorea
Raccoglie vari materiali dai primi secoli del cristianesimo al secolo XI: calchi di lapidi delle catacombe di Santa Mustiola e Santa Caterina d’Alessandria, elementi scultorei di età alto medioevale, provenienti dalla basilica di Santa Mustiola e particolarmente interessanti: un rilievo romano in marmo con scena di battaglia recuperato durante i lavori di scavo nell’area attigua alla navata di destra del Duomo e tre frammenti di mosaico (V secolo) appartenenti alla primitiva chiesa paleocristiana.
II – Sala degli Argenti
In questa sezione sono raccolte opere e suppellettili dal XV al XIX secolo. Il nucleo più consistente del materiale esposto è rappresentato da argenti dei secoli XVII, XVIII, XIX, spesso donazioni di Vescovi, prelati e fedeli. Di notevole interesse sono due cofanetti porta reliquie in legno ed avorio della bottega degli Embriachi (secolo XV), una pianeta in broccato rosso (secolo XVII) e un’altra in broccatello tessuta a motivi rinascimentali.
III – Codici Miniati
I codici sono esposti nel corridoio sopra la loggia che unisce il Palazzo Vescovile alla Cattedrale. Furono donati nel 1810 al Capitolo del Duomo di Chiusi da Mons. Giuseppe Pannilini che li salvò al momento della soppressione napoleonica del monastero di Monte Oliveto Maggiore. La raccolta è costituita da 22 codici. Il codice segnato dalla lettera Z, che porta miniature del secolo XVIII, è di provenienza sconosciuta. Fu l’abate bolognese Francesco della Ringhiera che, per attuare un programma di rinnovamento per la sua seconda elezione ad Abate generale, ordinò nel 1456 al frate olivetano Alessandro da Sesto di scrivere i corali per l’Archicenobio. Frate Alessandro, scriptor di livello eccelso, si accinse al lavoro di compilazione di tutti i codici ad eccezione di uno che i documenti ascrivono ad un altro calligrafo milanese di nome Ambrogio.
La miniatura di penna, che rivela un talento creativo eccezionale fu opera degli stessi frati olivetani, mentre alla miniatura di pennello furono chiamati artisti famosi come Sano di Pietro, Francesco di Giorgio Martini, Liberale da Verona, Girolamo da Cremona, Bartolomeo Varnucci e Venturino Mercati.
La IV Sezione è stata inaugurata nel 1992 ed è ubicata in alcune stanze del Palazzo Vescovile. Vi sono raccolti dipinti del XV secolo, un Cristo ligneo della seconda metà del ’300, oggetti in oro del XV secolo, oggetti in argento dei secoli XVII e XVIII, e numerose tele ad olio dei secoli XVII e XVIII provenienti da varie chiese della diocesi chiusina.
Parte integrante del Museo è l’Orto Vescovile, piccolo giardino nel quale sono venute alla luce alcune sezioni delle cinte murarie della città sovrapposte in una monumentale sequenza stratigrafica. La prima cinta, di età ellenistica, è costituita da un muro in blocchi squadrati di travertino disposti a secco su tre filari affiancati. Alla metà del II sec. a.C. gli venne addossata una struttura in blocchi di travertino legati con malta, obliterata all’inizio del secolo successivo. Il muro ellenistico è tagliato da quello romano in blocchi di travertino leggermente bugnati, finemente connessi con malta, e databile agli inizi del I sec. a.C.. Mentre il muro romano è stato utilizzato come fondazione per una torre con basamento a scarpa, pertinente alla cinta quattrocentesca, sul muro etrusco insiste la facciata di una casa medievale, in cui sono evidenti i fori per le travi ed un’apertura, forse una piccola finestra. Alle spalle del muro etrusco è situata una cisterna romana a pianta quadrangolare con banchina di ispezione, attualmente inaccessibile.
Labirinto di Porsenna
Il percorso sotterraneo noto come “Labirinto di Porsenna” ha il suo ingresso presso il Museo della Cattedrale e si sviluppa lungo una porzione della rete di acquedotti di epoca ellenistica per poi accedere in una monumentale cisterna romana. La visita termina alla torre campanaria che è anche l’uscita del percorso.
Sotto tutta la collina si estende un grande sistema di cunicoli e gallerie scavate in un banco sabbioso, distribuite su più livelli ed intercalate da molti pozzi ascendenti. Si tratta di un ingegnoso sistema di drenaggio ed approvvigionamento idrico, attivo sicuramente già in epoca etrusca, come ha confermato lo studio degli oggetti recuperati nei recenti scavi effettuati dal gruppo archeologico “Città di Chiusi” con l’autorizzazione della Soprintendenza Archeologica della Toscana. Da sempre questo “Labirinto” lega la sua fama al re etrusco Porsenna (VI sec. a.C.) e al suo leggendario mausoleo Oggi è possibile per il turista visitare parte di questa rete sotterranea. Il 24 giugno 1995 è stato infatti inaugurato un percorso che ha inizio nell’Orto Vescovile e che, dopo aver esplorato circa 120 metri di gallerie porta ad una cisterna etrusco-romana dalla quale si risale all’interno della torre campanaria visitabile fino alla sommità dove si gode uno stupendo panorama sulla Valdichiana, sui laghi e sui monti Cetona e Amiata.
Catacomba di Santa Caterina
La Catacomba di Santa Caterina d’Alessandria Si trova a circa due chilometri dal centro storico lungo la strada che porta a Chiusi Scalo. Prende il nome da una piccola cappella dedicata appunto a Santa Caterina delle Ruote, vergine e martire di Alessandria, che era situata nella collina soprastante. Fu scoperta casualmente nel 1847 durante le frenetica ricerche di antichità etrusche che caratterizzarono il secolo scorso.
La tipologia delle sepolture (arcosolii chiusi da tegole e coppi), molto simile a quella delle catacombe di Santa Mustiola, convinse il canonico Antonio Mazzetti, vicario generale della diocesi di Chiusi, a far praticare un saggio di scavo per poter stabilire se effettivamente le tombe appartenessero ad un cimitero cristiano. Le ricerche si protrassero fino al 1854 quando venne ripristinato l’antico accesso. Nuove indagini archeologiche sono state intraprese a partire dal 1986 dalla Pontificia Commissione di Archeologia Sacra e curate dal dott. Giulio Paolucci. I risultati sono stati di notevole interesse ed hanno permesso un’analisi più attenta dell’intero complesso cimiteriale il cui aspetto topografico è stato notevolmente mutato dagli interventi ottocenteschi. In origine doveva trattarsi di due complessi ipogei ben distinti facenti parte di una più vasta area necropolare che accoglievano sia sepolture cristiane che pagane. Di questi il primo, più vasto, fu utilizzato per tutto il III secolo, mentre il secondo (galleria G), fino alla fine del IV secolo. La presenza all’entrata di stipiti in travertino con fori per i cardini di una porta ha fatto, in più occasioni, avanzare l’ipotesi che il primo nucleo fosse rappresentato da una tomba etrusca poi ampliata.
Dalle molte iscrizioni funebri che ricordano appartenenti alle Genti Gellia e Fonteia appare però più verosimile che sia stata creata nel II secolo come ipogeo di famiglia i cui componenti convertitisi al cristianesimo lo avrebbero messo a disposizione per le sepolture dei fratelli di comunità. All’interno della catacomba, nel vestibolo, si possono ammirare una bella urna di travertino ornata con due fasci littori in mezzo ai quali è raffigurato un togato, probabilmente un magistrato di Chiusi di epoca imperiale e due colonne con capitelli corinzi poste ai lati dell’altare. Le iscrizioni graffi te sul tufo sono purtroppo tutte scomparse (ad eccezione di una che si trova in fondo all’ambulacro D) alcune sono state riportate dopo gli scavi del 1986 in pannelli. Tra queste ricordiamo un motto filosofico dall’arcosolio di una certa Fonteia che fu cancellato nel secolo scorso perché considerato blasfemo: “Mentre vivi uomo, vivi; infatti dopo la morte non c’è nulla tutte le cose rimangono e questo è l’uomo, ciò che vedi”. Tra le lapidi ricordiamo quella di Sant’Ulpia Vittoria martire. Oggi il suo corpo si trova nella Chiesa di S. Apollinare a Chiusi Città.
(Testo tratto da: Chiusi. Guida turistica, edita dall’Associazione Pro-Loco di Chiusi, 1997, pp. 68-73
Catacomba di Santa Mustiola
Il nome di Catacomba di Santa Mustiola deriva dal fatto che vi fu sepolta la Santa, Patrona di Chiusi e della Diocesi, martirizzata nell’anno 274 durante l’impero di Aureliano. Si trova a circa un chilometro dal centro storico lungo, la strada che porta al lago di Chiusi. Fu scoperta casualmente nel 1634 quando i frati francescani, che custodivano la basilica di Santa Mustiola, decisero di scavare un pozzo per l’approvvigionamento idrico. Alla profondità di 18 metri scoprirono le catacombe che si sviluppavano proprio sotto la basilica di Santa Mustiola. Scavi più completi vennero fatti nel 1717 da “cavatori” inviati da Roma. Poi, inspiegabilmente e per oltre un secolo, il cimitero restò in uno stato di completo abbandono. Ma nel 1828, durante i festeggiamenti in onore di Santa Mustiola, Mons. Giacinto Pippi Vescovo di Chiusi in una sua toccante omelia, invitò i fedeli a provvedere alla sistemazione del cimitero.
Due anni dopo gli scavi ripresero, e continuarono fino al 21 maggio 1831. Furono scoperti nuovi cunicoli, una cripta e molte epigrafi, tra queste, particolarmente interessanti, sono quelle riferite ai primi ministri della chiesa locale: Marco Giovenzio Dionisio e Lucio Petronio Dextro Vescovi, Sulpicio Felicissimo diacono e Sentio Respectio esorcista, e quella di un bambino Aurelio Melitio, morto all’età di 4 anni e 2 giorni, durante la V lettura della Veglia Pasquale. Moltissime le iscrizioni sul tufo; curiosa quella che ricorda un ignoto: “Qui è deposto un pellegrino che veniva dalla terra dei ciconi, il suo nome lo sa Dio”. Le iscrizioni e i materiali ritrovati, attestano l’uso del cimitero dal III fino all’ultimo quarto di V secolo.
L’avvicinamento al complesso è particolarmente suggestivo: una lunga rampa di scale fiancheggiata da alti cipressi, porta al piccolo piazzale antistante i due ingressi alla catacomba. Quello principale, scoperto nel 1830, era caratterizzato in origine da un “dromos”; oggi una piccola scalinata conduce in una cripta dove si conserva l’antica cattedra o sedia vescovile in mattoni e un altare il cui piano poggia su un cippo dove è incisa l’iscrizione del Vescovo Marco Giovenzio Dionisio che, forse, seppellì il corpo di Santa Mustiola. L’ingresso secondario, aperto nel momento della scoperta della catacomba, si apre al centro di un grande emiciclo in mattoni costruito nel secolo scorso. La lunghezza totale delle gallerie è di circa 200 metri. I loculi, disposti per la maggior parte in arcosolii bisomi e trisomi, sono 202.
Cisterna Romana
Si trova quasi in asse con la torre e collegata ad essa mediante la scala di accesso; fu rinvenuta nel secolo scorso e fatta risalire al I sec. a.C.. È costituita da un vasto ambiente a pianta circolare scavato nel banco di arenaria alternata a lenti di conglomerato su cui sorge la città, e impermeabilizzato con cocciopesto. Il vano è ricoperto da due volte a botte di forma ellittica, raccordate alle pareti della cisterna con pennacchi e sostenute da un pilastro quadrangolare centrale: sia la volta che il pilastro sono costruiti in blocchi di travertino. Su ciascuna delle volte si aprono due pozzi circolari per la captazione delle acque. Uno studioso tedesco ha supposto che essa potesse essere utilizzata dal collegium centonianorum(i vigili del fuoco di epoca romana), la cui schola, menzionata in un epigrafe rinvenuta nel vicino Orto del Vescovo, doveva trovarsi nelle vicinanze.
Torre Campanaria
Fu eretta nei primi anni del secolo XII con materiale proveniente dalla demolizione di alcuni edifici a carattere strategico appartenenti precedentemente ai conti Farolfi e al vescovo Lanfranco che resse la chiesa di Chiusi alla fine dell’XI secolo. La cella campanaria, in laterizi con angolate in pietra, fu fatta costruire nel 1585, dal vescovo fiorentino Masseo Bardi.
Museo Civico “La Città Sotterranea”
Il Museo della Città Sotterranea di Chiusi, attraverso le sue tre interessanti e particolari sezioni, si propone come strumento didattico e conoscitivo della complessa realtà archeologica, storica e geografica della città. Il percorso inizia attraverso la Sezione “Il Labirinto” , che mediante pannelli, foto, reperti e ricostruzioni, rappresenta l’ideale introduzione agli itinerari sotterranei dell’Orto Vescovile e del Palazzo Bonci Casuccini che si snodano al di sotto del centro storico a otto metri di profondità, per proseguire attraverso la Sezione delle Attività Produttive dell’antico Agro Chiusino, in cui storia economica e ambiente costituiranno un felice connubio per illustrare il complesso rapporto dell’uomo con il sistema ambientale dell’antico fiume Clanis: in fondo al percorso il visitatore potrà ammirare, attraversando un tratto dei cunicoli, antico sistema idraulico etrusco, un suggestivo laghetto a circa 30 metri di profondità. La visita termina all’interno della Sezione Epigrafica che ospita in ambiente ipogeo circa 300 urne cinerarie e alcune centinaia di tegole funerarie iscritte, che rappresenta una delle collezioni più importanti del patrimonio epigrafico mondiale.